giovedì 7 luglio 2011

1195 di 2013 ; il Secondo Avvento

Stefano Armellin con il pezzo 1195 di 2013
 del Poema visivo del XXI secolo :
IL VOLTO DEL MONDO E LA CROCE 1993/2013




Titolo : Il Secondo Avvento 

STORIA DI GIUSEPPE 

" Lo scettro non si allontanerà da Giuda (Genesi 49,10) ; 
Giacobbe morente riunisce intorno a sé i suoi figli e profetizza i destini delle dodici tribù d'Israele che usciranno da loro (49,1).
Giacobbe inizia con due maledizioni. Una è per il primogenito Ruben (49,4 ; 35,22). L'altra é per i due fratelli violenti e traditori (49,5; 34,25-27) , Simeone e Levi: Giacobbe maledice così, insieme alla naturale primogenitura, i discendenti di Levi, che saranno i sacerdoti d'Israele.

A queste due radicali maledizioni, del primogenito e del sacerdote, si contrappongono due grandi benedizioni. La prima é pronunciata sopra il -giovane leone- Giuda (49,9): -lo scettro non si allontanerà da Giuda-, fino a quando dalla sua tribù uscirà il re messianico destinato a dominare su tutti i popoli (49,10).

Giuda cavalca un asino e -lava il suo vestito nel vino, il suo mantello nel sangue dei grappoli, i suoi occhi sono torbidi di vino e i denti bianchi di latte - (49, 11-12). Umiltà e furore tracciano la sua immagine.

La gloria della suprema benedizione tocca a Giuda, il cui nome é qui interpretato come -i tuoi fratelli ti loderanno- (49,8). Giuda aveva avuto pietà di Giuseppe fanciullo, odiato dai fratelli e da loro destinato alla morte (37,26), dinanzi al padre si era portato garante per la vita dell'ultimogenito Beniamino (43, 8-9), per pietà del padre aveva voluto restare prigioniero in Egitto al posto di Beniamino (44, 18-34).

A Giuda che ha pietà compete il Regno. Anche se vivrà lontano dai fratelli anche se si alleerà con i cananei, anche se la sua tribù sarà quella del sangue più mescolato (Dt 33,7; Gdc 1,3), e attraverso il suo incesto con la nuora Tamar passerà la linea della discendenza che conduce a David e a Gesù.

La seconda grande benedizione di Giacobbe, dolce e misteriosa, é per Giuseppe. Non gli annuncia un potere misterioso, ma la fecondità di -un albero fruttifero presso la sorgente- (49,22). Giuseppe è destinato alla sofferenza (-gli arcieri lo hanno amareggiato, bersagliato, avversato-, 49,23), ma infine Dio lo salva.

Egli é -il consacrato tra i suoi fratelli- (49,26), é il benedetto da una benedizione più strepitosa di ogni regalità : è benedetto dai cieli in alto, dall'abisso in basso, dalle mammelle e dalla matrice, dalle montagne antiche, dalle colline eterne (49, 25-26)". 

Sergio Quinzio Un commento alla Bibbia Adelphi, pp.57-58

San Cipriano (210-258) c
di Padre Felice Artuso

Durante la persecuzione dell’imperatore di Decio, decretata nel 250, Cipriano si ritira in un nascondiglio, per non cadere nelle sconvolgenti rappresaglie dello Stato totalitario. 
Nel silenzioso isolamento non rimane passivo e inerte, ma si mostra vigilante e attivo pastore. 
Prosegue a svolgere il ministero episcopale, guidando la sua chiesa e condividendone le afflizioni. 
Mediante un’assidua corrispondenza le offre dei contenuti spirituali, per affrontare con tenace fermezza l’inquietante persecuzione. 
In particolare esorta i sacerdoti e i laici a perseverare nella professione di Fede cristiana e a rifiutare l’imposizione di sacrificare agli idoli, per dimostrare la piena uniformazione alle leggi statali. 
Nella persecuzione dell’imperatore Valeriano si trasferisce a Carubi, località situata nella vicinanza di Cartagine. Qui prega, accoglie i suoi collaboratori, analizza le notizie che gli recano e li consiglia di perseverare nella fraterna coesione. 
Un nuovo editto dell’imperatore impone alle autorità locali di arrestare, processare e condannare a morte i capi delle comunità cristiane. 
Cipriano è arrestato, ammanettato e condotto nel tribunale. 
Al termine del processo il proconsole Galerio Massimo emette su di lui questa sentenza di condanna: «Si ordina di decapitare Tascio Cipriano». 
Il vescovo accetta la sentenza di morte del rappresentante dello Stato, rispondendogli: «Siano rese grazie a Dio» . 
Condotto nel luogo della decapitazione, si toglie la sopravveste, s’inginocchia per una breve preghiera, si benda gli occhi, si lascia legare le fasce ai polsi e attende che il carnefice lo decapiti. 
È il primo vescovo africano, che affronta il martirio, per difendere e diffondere l’insegnamento evangelico. 
Sigilla con il sangue la sua testimonianza di Fede nel Signore. 
Al tramonto del sole i cristiani prendono il suo corpo e gli danno degna sepoltura. Negli anniversari del suo martirio ne commemorano l’insegnamento, adatto al rinvigorimento spirituale .
Padre Felice Artuso